PROBLEMI E VICENDE DEL MALTRATTATO LAGO D'IDRO
Edizione speciale di Anfo Racconta novembre 2004 - ripubblicazione di Romeo Seccamani
"… i margini del lago,
questi potrebbero essere
gradito ritrovo, se talvolta
non mostrassero
di meritare un posto fra
il confine della vegetazione
australe"
LA STORIA
Nel secondo decennio dell'Ottocento, dopo la disfatta napoleonica e all'inizio della restaurazione, viene costituito il Regno Lombardo-Veneto sotto il dominio austriaco. Una grande crisi colpisce tutta l'Europa. Per far fronte alla carestie e alla disoccupazione, nel bresciano vengono costruite varie strade.
Nell'impegno di ridare fiato all'economia anche in Valle Sabbia, in quel periodo viene ricostruito il percorso della strada di fondo valle, di collegamento di Brescia con Trento. Vecchi e angusti tracciati usati fino ad allora per superare la stretta di Ruine, fra Idro e Lavenone, che costeggiavano su ambo i lati il fiume Chiese, vengono sostituiti con una più moderna e scorrevole via. Per superare il versante roccioso a nord del fiume, più diretto e privo di scavalcamento sul Chiese, si rese necessario un impegnativo lavoro di sbancamento di roccia, di riempimento e costruzione di muri, invadendo perciò l'alveo del fiume Chiese in modo incisivo e malaccorto, proprio nel punto in cui il lago d'Idro riversava le sue acque nel fiume. Venne così compromesso l'equilibrio millenario del lago perché con quella modifica il fiume emissario fu costretto a scorrere contro l'opposto argine argilloso sud, ma soprattutto si ostruì la parte più bassa dell'imboccatura del fiume, un'ansa rocciosa da cui il lago rigurgitava l'acqua.
Nel periodo successivo a quell'indispensabile ammodernamento del tronco di strada, il livello del lago, che non scaricava più come prima, si alzò e procurò seri problemi. Sono di quel periodo vari tentativi resisi utili per l'abbassamento del punto roccioso di emissione del lago. Fu quella dunque la causa del lamentato impaludamento delle zone più sensibili del lago, come fece osservare l'attento umanista e cronista di quel tempo Pietro Riccobelli di Vestone. Osservazione però sempre ignorata da storici, scienziati e tecnici. Negli ultimi decenni dell'Ottocento il problema dell'impaludamento del lago divenne così il comodo pretesto usato per ingarbugliare le menti alla gente del lago e per convincerle ad acconsentire alla sostituzione del delicato apparato naturale di scarico del lago con altri sistemi artificiali mediante gallerie. Anche se il fine fondamentale dei fautori della drastica correzione dello stato naturale del lago fu quello, mai palesato, di arrivare a disporre di quanti più possibili milioni di metri cubi d'acqua, paradossalmente le motivazioni da loro sbandierate furono quelle di rendere il lago salubre e sicuro. Per decenni con questa scusa lavorarono i fianchi delle comunità costiere; con l'altra scusa poi, pur convincente e chiara del benessere generale che si sarebbe ottenuto sfruttando la forza idraulica dell'acqua per produrre elettricità, Ministeri e ragion di Stato, senza mai tradire l'esatta intenzione, ottennero quindi, quale primo passo, l'autorizzazione a fare un bel buco sul fondo del lago. Nel secondo decennio del Novecento, finalmente il traforo fu autorizzato. Così, dopo trenta anni di assemblee, progetti, relazioni e astuzie varie, a far capire alla caparbia gente di montagna quali fossero i benefici che avrebbero avuti a lasciare che il lago venisse addomesticato dalla sua originale selvatica e perversa natura e a convincere lo Stato del grande bene nazionale che sarebbe derivato col solo sacrificio di un così limitato ambiente naturale, con decreto del venticinque ottobre 1917, gli intraprendenti e audaci pionieri di quei tempi ottennero la concessione di sistemare a "serbatoio artificiale" il lago d'Idro.
Nell'immediato periodo successivo a quel decreto, con il quale si autorizzò la "sistemazione", cioè lo snaturamento del più grande lago alpino, fu presto quindi sistemato il nevralgico e già compromesso punto di emissione dell'acqua del lago nel fiume Chiese mediante il relativo allargamento e livellamento del fondo, la costruzione di possenti paratie in acciaio per alzare e regolare il livello oltre la quota naturale, e la realizzazione di due gallerie, della complessiva portata di 130 metri cubi al secondo, sul fondo del lago, a più di dieci metri di profondità per abbassare e regolare il deflusso al di sotto ditale quota. Con questa "sistemazione", 1'alveo dell'emissario venne ulteriormente manomesso, occupato con altre opere, e il suo argine sinistro fu spostato e reso instabile grattando il fianco di quel monte, lungo il quale, fino a un secolo prima, passava la strada secolare. In teoria, da quel momento si poteva prelevare dal lago come, quando e quanta acqua si voleva. La tanto agognata metamorfosi della complessa, grande quanto delicata risorsa idrica, fu compiuta.
Nel giro di una manciata d'anni dal decreto emesso sotto le bombe in piena guerra mondiale, i moderni manovratori di rogge, canali forzati e navigli cambiarono d'abito. L'originario ente promotore, costruttore e concessionario si trasformò beffardamente, in simbiosi col lago, in "Società Lago d'Idro" inglobando alle vecchie energie finanziarie idroelettriche e idrauliche quelle nuove dei possidenti agricoltori. Nel 1927 la "Società Lago d'Idro" era già titolare della concessione di invaso, regolazione ed erogazione dell'acqua. Essa aggirando ostacoli di varia natura, pur di riuscire a perfezionare la capienza del suo grande serbatoio, calpestando diritti e natura della vita del lago e ignorando promesse e lusinghe fatte ai rivieraschi dai fautori originali suoi predecessori, in meno di un lustro ottenne dallo Stato accondiscendente un perfezionamento pure del decreto iniziale con il quale si prolungava, da 50 a 70 anni il diritto d'uso dell'acqua, spostando il termine al 1987; e le si concedeva di abbassare di altri metri la quota minima di svaso. La Società del benessere coronò così il sogno, che fu anche quello dei suoi precursori, di poter predisporre del suo bel vascone, incastonato tre le Alpi, di circa 80 milioni di metri cubi d'acqua. Un volume d'acqua ricavato in casa d'altri, con l'autorizzazione emessa, in nome della ragion di Stato, di fare salire di oltre 2 metri la quota naturale del livello di un bacino lacustre e di farla scendere al di sotto di questo di altri 5. L'autorizzazione valse oltretutto il diritto di sommergere terreni privati e pubblici e, con tale propiziata scusa, si poté acquistare con quattro soldi terreni di poveri contadini, accampando il motivo-diritto che comunque quei terreni venivano sommersi dalle acque.
Terreni che oggi valgono suon di palanche, cioè fior di euro.
Nel 1955, lungo tutto il percorso dell'alto Chiese, a monte del nostro lago, furono costruiti dei grandi serbatoi per centrali idroelettriche, aggravando e completando l'alterazione dello status del lago, degradandolo, da allora, anche ad essere considerato "vasca di compensazione", oltre naturalmente alla già subita metamorfosi da lago naturale a "serbatoio artificiale" di acque di riserva.
Nel 1987 scade la concessione decretata nel lontano 1917 e lo Stato diventa proprietario degli impianti di trasformazione del lago. I paladini del progresso e del benessere targati "Società Lago d'Idro" chiedono prontamente il rinnovo vantando diritti. (Sono passati più di cent' anni, la storia si ripete, metodi, astuzie, strategie sono sempre gli stessi di un tempo.) L'estrazione della risorsa idrica si fa preziosa e si riduce di oltre la metà, su parere delle autorità scientifiche e giuridiche statali, coinvolgendo i rappresentanti delle comunità lacustri. Loro, quelle volpi di acquivendoli, intanto non demordono e prendono tempo, aspettano situazioni politiche propizie, dicono di essere gli esperti e che gli impianti per la regolazione artificiale del lago sono da perfezionare: sentite un po' per quale ragione! Paventano che il luogo nevralgico in cui il lago sgorga nel fiume sia minacciato dalla paleofrana, neanche fosse un loro sogno subconscio. Una montagna lì da più glaciazioni, come tante altre, loro la scorgono ora. O forse si riferiscono semplicemente alla instabilità dell'estremo lembo di questo monte, da loro stessi grattato e reso tale pertanto non certo da cause naturali, a meno che non si intenda il fenomeno dettato anch'esso dalla perversa natura del lago, quale temporale perturbazione dello spirito e della ragione delle cose. Il resto è cronaca di questi giorni, è roba da chiedere conto alla signora Viviana Beccalossi, rappresentante della Regione Lombardia, ente al quale lo Stato, lavandosene le mani, ha delegato la questione lago d'Idro.
I DANNI
Si deve partire dalla storia perché sia la voce dello spirito, ma più ancora sia il corpo di uno snaturato lago a esprimere con amarezza e tanta diffidenza la denuncia per il danno subito e a mettere pertanto in evidenza l'irreversibilità del guasto morfologico. geologico e biologico, ossia del degrado vitale causato all'ambiente lacustre.
Si deve iniziare con il sottolineare come fossero ospitali e sinuose, con fondali assestati e stabili, le rive di questo lago, che nel corso di un secolo di deterioramento, si sono trasformate in sponde aride e sassose. Una trasformazione resa possibile dai profondi e incauti svuotamenti di sette metri di livello, pari a ottanta milioni di metri cubi di acqua, con conseguenti sistematiche escursioni e lavorio delle onde che per così lungo periodo hanno denudato, eroso e rese sempre più ripide tali sponde, trasformandone per sempre l'aspetto morfologico e l'assetto idrogeologico, fino a farle sembrare bordi di crateri che in certi periodi assumono somiglianze da ghiera ampia e profonda, da inferno dantesco. Si deve rilevare anche, a proposito di assetto idrogeologico, quanto questo fattore abbia influito sulla stabilità del sottosuolo circostante a causa dei ripetitivi, drastici drenaggi agli strati di materiali di cui è composto. Per tale rilevazione non mancano documentazioni e fatti di sconquassamento di suolo, registrati da vari cedimenti di edifici, e valga per tutti il più recente e grave cedimento pericoloso della settecentesca chiesa parrocchiale di Idro.
Si deve proseguire col denunciare i laceranti mutamenti fisici e formali di un tipico litorale, provocati dalla definitiva scomparsa di svariate specie e peculiarità di vegetazione ittica adattatasi, selezionatasi durante un millenario processo, per cui la loro presenza era incontestabilmente arricchimento vitale e paesaggistico di un ambiente singolare lacustre.
Si deve rimarcare il fatto che la sostanziale essenza arcaica dell'essere lago è stata degradata nella sua specificità biologica in quanto i suoi valori di temperatura di ossigenazione e di organicità sono stati rivoluzionati dagli sproporzionati e frequenti movimenti di masse d'acqua provocati dall'artificioso regime assegnatogli con la trasformazione in serbatoio "di compensazione". Ma anche l'altrettanto artificioso sistema di scarico, appositamente realizzato tramite gallerie sul fondo del lago e non per traboccamento di superficie, ha fortemente destabilizzato la dinamica delle correnti e del ricambio dell'acqua. Sicché tale sistema fa sì che tutte le impurità e la sporcizia in sospensione siano trattenute nel lago, trasformandolo così in pattumiera di tutto l'ampio bacino che gli sta attorno e a monte.
Si deve lamentare quindi quanto l'invadente atto ha defraudato la ricchezza faunistica e microorganica, dunque distrutto per sempre un habitat, pertanto irrimediabilmente cancellate specie di fauna ittica autoctone e di conseguenza distrutta una particolare e ricca, pescosità annotata fino dal 1458 dall'umanista Ubertino Posculo, nella sua relazione tenuta ai governanti di Brescia; ma anche citata un secolo e mezzo dopo dal veneziano rettore di Brescia Giovanni da Lezze nel suo "Catastico Bresciano" in cui è segnalata ed esaltata la mitica trota del lago d'Idro. Ora, in seguito allo snaturamento del lago, irreversibilmente sparita.
Si deve porre inoltre il quesito per sapere quale sarebbe oggi il valore del patrimonio di questo ambiente lacustre e quali richieste turistiche e residenziali potrebbe soddisfare, se fosse ancora integro in quegli aspetti peculiari che lo impreziosivano. E, fra tanti presupposti che lo qualificavano, valga citarne uno per tutti come segno del sacrificio impostogli, che è poi quello che le popolazioni locali si raffigurano quando pensano a cosa potrebbe offrire il loro lago in termini di immagine, se potesse fregiarsi ancora oggi della presenza della trota marmorata, salmonide autoctono, dalla rosea carne prelibata, per secoli ambito cibo cerimoniale conteso da nobili casate, fra le quali spiccava quella dei Savoia.
Si deve evidenziare in fine l'effetto ed il peso usurpanti causati dalla mancanza delle disponibilità caratteristiche sottratte a questo ambiente e con cui si sono spezzati equilibri fisiologici fra abitanti e territorio, per metterli in conto e per valutare quanto tale depauperamento di cultura di lago abbia disorientato la mentalità e l'intraprendenza necessarie a ripensare un'altra qualificata economia quale può essere quella turistica.
LE RESPONSABILITA'
Perché la voce di questo ambiente di lago non si cicatrizzi assieme alle sue indelebili ferite, né si celi fra gli ilari veli delle sue malinconiche atmosfere, bensì resti a testimoniare del danno infertogli e dei rischi che ancora corre, è doveroso parlare anche di responsabilità.
Parlare dunque per denunciare l'uso indiscriminato e rovinoso, compiuto con autoritario consenso dello Stato, di un lago che la natura, prima che allo Stato, ha assegnato a quelle popolazioni cui per sorte è toccato nascere e formarsi attorno e dentro l'architettura di quell'habitat. E che quindi di questo sono parte intrinseca, perché Vi (dentro tali popolazioni) si sono modellate la coscienza e la ragione stessa di esistere. Un sacrificio dunque imposto in nome di un temporale sviluppo generale e che fin dalle origini sembrò di dubbiosa congruità. Tanto è che il decreto di legge della sospirata concessione, emesso in nome del popolo italiano nel 1917, autorizza la trasformazione del conteso lago esclusivamente per scopi idroelettrici e non irrigui, come poi successivamente è accaduto.
Parlare di ragione di Stato o di giusta ragione è concetto complesso che ci tirerebbe in ballo tutti. Meglio per ora andare più al sodo e chiamare in causa politici, legislatori e governanti e chiedere loro perché, in tempi in cui si definiscono presenze da tutelare quali beni ambientali pure i paracarri, lo sconcio creato al lago d'Idro da nessuno sia veramente ritenuto un maledetto, grosso impatto ambientale, qual è innegabilmente. E' possibile che regni tanta disinformazione e che il danno continui, mentre il caso viene eluso dallo Stato stesso, facendo in modo che passi come semplice faccenda di carattere agricolo e perciò di competenza dell'apposito dicastero, che poi lo Stato delega a risolvere la Regione Lombardia?
Parlare per chiamare in causa i responsabili della zona, parlamentari, assessori e consiglieri a vari livelli, è sacrosanto dovere, al fine di sollecitarli a interessarsi del problema, rammentandogli che questo non deve essere per loro solo un argomento quale scioglilingua di vane promesse nei discorsi elettorali; per farsi spiegare da loro la ragione per cui la costruzione di un viadotto o di una galleria, la rimozione del suolo o di un particolare albero, per non dire di un fatiscente intonaco, siano considerati impatti ambientali sottoposti all' attenzione ecologistica e storicistica a trecentosessanta gradi fino a far intervenire ministri, sottosegretari, soprintendenti e ispettori (e spesso questi ultimi in atteggiamento vessatorio), quando poi tutto ciò che è stato fatto e si continua a fare al lago d'Idro appare atto distruttivo sopportabile, tanto che nessuno si sente in dovere di mettervi becco…
Parlare di becco però ci rammenta che tocca proprio mettercelo alla Beccalossi, ma per interesse opposto, in quanto alla gentile signora spetta il compito di governante dell'agricoltura lombarda. Senza importunarla, alla leonessa del Pirellone vorremmo con cortesia chiedere perché questo lago e solo questo -certo perché più di altri si presta al fabbisogno - è da considerarsi serbatoio artificiale di compensazione del bacino del Chiese da dare in esclusivo accomodato a organi o consorterie varie di gente che vive e sguazza in una delle zone più ricca di fiumi alpini di tutta la pianura Padana?
Parlare di consumo d'acqua per farsi un'idea dello scempio mortificante recato a un lago e per cercare perciò di comprendere l'opinione pubblica di quel luogo che identifica i responsabili del danno in meri prelevatori e dissipatori d'acqua, definendoli per l'appunto acquivendoli. Soci o dirigenti che fossero, questi ultimi, per la gente costiera altro non sono che componenti della SLI (Società Lago d'Idro). Figuriamoci l'espressione dei volti e quelle verbali di quella gente di lago! Quando si sente circolare la notizia che la protettrice della campagna del granoturco, la signora Viviana Beccalossi, Assessore e Vicepresidente della Regione Lombardia, ha nominato commissario per la gestione delle acque, in parole povere ha affidato la saracinesca del lago, sentite un po' a chi? A lui, perbacco! All'esperto in idraulica e in idrovore faccende eridiane, l'ingegnere Qttorino Milesi, già presidente della benemerita "Società Lago d'Idro".
Parlare perciò dei gestori dell'acqua del lago vuol dire, per questa gente, ricordare in quale modo in passato quel compito fu assolto, per cui essa ora non intende più sopportare che venga ancora affidata a enti, consorzi o a combriccole composte da interessati ed esperti prelevatori d'acqua. Dunque i politici, i burocrati e i vari amministratori lontani e vicini sappiano che essa è pronta a dar fiato e orgoglio nel pretendere che ad arbitro e tutela venga posto un ente al di sopra delle parti. Ed è pronta anche a chiedere conto e spiegazione da dove provenga tanta ostilità a riconoscerle il diritto alla compartecipazione nel definire regole e criteri nella gestione e distribuzione di tale risorsa della quale essa risulta connaturata parte.
Parlare di acqua come risorsa, che disegna e forma l'ambiente dove voce e orgoglio della gente che lì vi abita prendono vita, per esigere che venga spiegato perché mai per quelle terre poste fra Brescia e Mantova, in nome della fertilità delle quali, tra il 1917 e il 1987, si siano consumati miliardi di metri cubi d'acqua, quando, nei quindici anni che ci separano dalla scadenza nel 1987 della concessione ad oggi, per mantenere vegete e produttive le stesse terre, è bastato un uso più moderato, ridotto di circa due terzi delle risorse idriche. E dato che siamo sull'argomento, per esigere anche che venga spiegato il motivo per cui si è voluto rinunciare, da parte degli acquivendoli, pure della legittima quota d'acqua derivante dal fatto che il lago in questo ultimo lasso di tempo non è mai stato portato nemmeno alla sua massima quota naturale.
Parlare per intenderci e per evitare che si ripetano vecchi metodi e vizi e perché siano chiare le responsabilità e trasparenti le finalità di coloro che sono intenzionati a perfezionare e potenziare l'apparato per l'invaso e lo svaso del lago perché il motivo sin qui dedotto non solo non è chiaro ma allarmante, in quanto è lo stesso identico falso motivo di quello da sempre adottato dai loro avi, quello cioè di difendere il lago dalla sua perversa natura. Eh sì, perdinci! Perché loro, i paladini contro la fame, la sete e le calamità naturali, hanno solo adesso, dopo il 1987, individuato una paleofrana che incombe là, in quel punto nevralgico, dove 1'acqua del lago ridiventa fiume. Una paleofrana che poi altro non è che l'enfatizzazione di un termine usato per indicare il pericolo della instabilità di un argine. Per cui, semmai si trattasse di così serio pericolo, a scongiurarlo, basterebbe rimuovere l'apparato artificiale di sbarramento del lago, smantellando paratie e gallerie e lasciare che l'acqua tracimi e valichi rigurgitando flutti e potenza nell'alveo dell'emissario, perché possa tornare a tener sgombro questo da ogni ed eventuale smottamento dei suoi fianchi. Il suggerimento, anche se sicuramente risolutivo, può sembrare paradossale, non meno paradossale però di quanto ora a ragion veduta risulti il fatto che quell'argine sia stato grattato e reso instabile nei due ultimi secoli con il convincimento di preservare e arricchire ambiente e territorio, e da chi? Dai loro avi, parenti stretti in fatto di metodi e di interessi, parenti di quelli che la voce di questo lago sarcasticamente acclama aspiranti acquivendoli.
LA CONCLUSIONE
L'ipocrisia e la falsa ragione possono anche portare momentaneo successo, ma un vero e duraturo progresso si costruisce con ben altri parametri, quali la concretezza e la lealtà intellettuale. In questa faccenda sembra però che siano le prime ad avere la meglio, in quanto, il primario elemento di ricchezza o risorsa più preziosa, indispensabile per ottenere l'agognata qualità della vita, quale dovrebbe essere l'acqua in sé (ma anche l'insieme del luogo del suo giacimento fisico e organico, compresa la peculiarità plastica e l'azione modellatrice del complesso equilibrio della sua dinamica fluviale) sia purtroppo ancora considerata una risorsa da sfruttare opportunisticamente, di cui è acconsentito l'abuso e il sacrificio in nome dell'effimera ricchezza di un momentaneo benessere. Cosicché in tale contesto, quella che si può definire coscienza di lago (intendendo con ciò non tanto chiamare in causa la contemporanea sensibilità della gente interessata, quanto innanzitutto evocare lo spirito latente sedimentato nella storia, nella atavica cultura, ma anche evocare quello che si può definire il racconto della natura) sente il dovere e il diritto di esprimere, con quel tanto di vigore rimastole, il risentimento per l'uso improprio fatto delle sue risorse lacustri e che tutto lascia supporre si intenda ancora perpetrare. Sente il dovere di far notare, con ironica smorfia, come sia stato fatto uso paradossale perfino del suo nome, preso a marchio dell'impresa realizzata e blasonata appunto dalla denominazione "Società lago d'Idro". Ma la vera società del lago d'Idro è quella che vive tuttora attorno al maledetto lago, e che è tale per storia, etnia e naturale diritto! E' una società composta di poche comunità nate e predestinate a consumare lì la loro esistenza, e che in quel territorio, fatto di terra e acqua, devono attingere prima ancora delle risorse per vivere, la ragione stessa dell'esistere, come un qualsiasi altro popolo nato e insediato in qualsiasi altro territorio.
Questa gente di montagna, per natura arroccata e diffidente, pur sapendo quanto sia costata ad essa e in genere all'ecosistema la manipolazione di quel bene supremo che è l'acqua, specie del loro lago, si rende perfettamente conto di quanto questo bene sia prezioso. E più di tanti altri conosce anche che, accanto al fondamentale valore energetico e vitale, l'acqua nasconde insidie e pericoli. Quindi più di qualsiasi tanta altra gente sa quanto sia opportuno razionalizzare e controllare il suo decorso, specialmente al fine di migliorare le condizioni del vivere quotidiano.
Perciò è gente ben consapevole che il regime dell'acqua del loro lago può essere regolato in altro modo da quello assegnatole dal caos naturale per sfruttare energia e linfa nell'interesse ampio e grande di una nazione; ma sa anche che c'è modo e modo di usarla questa benedetta acqua perché egoismi e superficialismi ed errori di scelta portano, come la storia insegna, ad irreversibili guasti. E sanno questi montanari lacustri che anche l'insieme del loro ambiente è una terrestre risorsa, non solo di quel loro particolare lembo di terra, bensì della globalità delle cose, come lo è l'acqua, anch'essa distruggibile come tutte le cose. Per cui ricordiamoci che nel terzo millennio le risorse idriche non si possono e non si devono considerare interminabili giacimenti, come sono state considerate in passato.
Pertanto la si usi pure questa acqua contesa, ma per favore lo si faccia con cognizione e con leale sforzo di trasparenza e di coinvolgimento di intesa, con chi in teoria dovrebbe tenere il coltello per il manico, ossia i lacustri, per fissare regole e organismi collegiali di controllo ed erogazione delle acque. E poi per favore, signora Assessore Beccalossi, faccia uno sforzo e riferisca al suo Governo Regionale o magari a quello Centrale che questo affare non è e non può essere trattato e legiferato come mera questione irrigua, bensì idrica, con tutte le implicazioni che il termine comporta. Poi, per Dio, tutti insieme fate lo sforzo di guardare e di usare l'acqua non con spirito ottocentesco, bensì con spirito aggiornato al terzo millennio, per vederla come risorsa distruttibile e non solo in quanto corpo fluido, ma anche plastico, con cui ci si può appagare e misurare nel modellarlo sul territorio. Ma, per favore, fatelo con l'arte dovutale e con tanto, tanto rispetto, come esige Sua Maestà, la Natura.
Una relazione di Pietro Riccobelli "sulla natura e cause delle febbri intermittenti dominanti nel Comune d'Idro"
a cura di Giancarlo Marchesi
I1 6 dicembre 1827, adempiendo ad un'ordinanza del commissario distrettuale di Vestone, l'ingegner Carlo Bertuetti, il perito Giò Batta Bonari, l'agente comunale Giò Batta Regoli e la deputazione del Comune di Idro effettuarono, come si legge nel verbale, "una visita alla Bocca d'uscita del Lago d'Idro per verificare il mezzo più efficace onde scaricare le acque che nelle escrescenze rendono inondate le laterali e superiori campagne con grave pregiudizio sanitario agli abitanti, in particolare di questo territorio, ed alle campagne". Lo scopo del sopraluogo era quello di valutare la fattibilità di un'opera che nelle intenzioni dell'ingegner Bertuetti avrebbe dovuto "rendere l'acqua del lago nelle massime escrescenze ad un livello di non arrecare possibilmente pregiudizio agli abitanti e campagne, cioè di porre il lago sotto l'antico livello come era prima della lavina (franamento) avvenuta credesi nel 1740 e più ancora anteriormente al 1816, epoca in cui venne costrutta la Strada Vallerina laterale alla bocca d'erogazione [del lago]". Nel corso della Restaurazione, infatti, il progressivo innalzamento del livello delle acque del lago d'Idro fu uno dei maggiori problemi di carattere ambientale che le autorità della valle si trovarono ad affrontare. Per porre rimedio a tale situazione, i responsabili del governo Lombardo-Veneto chiamarono personalità di spicco e studiosi di chiara fama sia in campo idraulico, sia in ambito sanitario. Non a caso, infatti, nel febbraio del 1828 il funzionario distrettuale di Vestone commissionò a Pietro Riccobelli, medico condotto del comprensorio, uno studio che si poneva l'ambizioso obiettivo di indagare sulla "natura e causa della frequenza delle febbri intermittenti dominanti nel Comune di Idro e modi generali di rimedio". Dopo qualche settimana di accurate indagini e di attenti sopraluoghi, il 30 marzo 1828, Pietro Riccobelli consegnò nelle mani del regio commissario di Vestone una pregevole indagine conoscitiva che faceva luce sulle cause delle
"febbri intermittenti" che in quell'epoca colpivano con sempre maggiore frequenza gli abitanti del lago. Nella relazione dell'illustre medico valsabbino si legge infatti che:
"la causa produttrice della frequenza delle febbri nel Comune di Idro non è che il miasma paludoso, di quanto vantaggio non diverrebbe a quegli abitanti, se dato fosse di trovare un mezzo efficace a distruggere o almeno indebolire di molto si fatta malaugurata cagione? Allo scopo di che espongo ora il seguente mio progetto. Onde distruggere l'anzidetta causa conviene principalmente cercare il modo di opporsi e prevenire lo straripamento delle acque del lago nel tempo della loro escrescenza perché non restino inondati i campi, le strade, il fondo di molti abitati e molto più le paludi nell'inverno rimaste asciutte. Il lago sbocca nel fiume Chiese per una foce moltissimo angusta, e in modo che essendo poco declive al piano superiore dello stesso lago, con sensibile lentezza va l'acqua scaricandosi nel fiume". Secondo Riccobelli si poteva risolvere buona parte dei problemi di carattere medico a patto di "trovare il modo di dare un'uscita più ampia e rapida alle acque del lago alla detta foce o sbocco, mentre così non si darebbe tempo alle acque stesse di accumularsi giammai in quella quantità nella quale ora s'aggruppano".
Tra i fattori che nel corso della Restaurazione avevano contribuito a rendere sicuramente più difficile la vita per gli abitanti del lago, Riccobelli individuava alcuni lavori stradali effettuati durante la grave carestia del biennio 1815-16. Secondo il medico distrettuale "nella costruzione della nuova R. Strada avendosi dovuto alla notata imboccatura del lago alzare il piano della strada medesima, come anche al luogo detto la Grotta per un flessibile tratto, si venne in questo modo a frapporre un ostacolo ad un maggiore allargamento delle acque che per lo avanti le offriva il piano assai più basso nell'antica strada, e così da va una più ampia e facile uscita a quelle. Quindi in questi ultimi anni si ha appunto per tale motivo rimarcato una escrescenza sì grande che le acque del lago strariparono in proporzione tre e più metri dei solito a detta degli abitanti".
Dallo studio del dottor Riccobelli alla definitiva soluzione del problema delle "febbri intermittenti" passarono decenni, ma il rapporto del medico vestonese ci permette di disporre di maggiori elementi conoscitivi per valutare l'aggravarsi del problema ambientale nella prima fase dell'Ottocento, quando imponenti opere pubbliche iniziarono a modificare il sistema viario valsabbino, senza però tenere in debita considerazione i fragili equilibri del lago.
Pietro Riccobelli (Vestone. 22 febbraio 1773 - 18 marzo 1856). Studiò filosofia nel collegio Falsina di Brescia, per poi frequentare i corsi di medicina all'università di Padova, dove nel 1794 conseguì la laurea. Successivamente passò all'ateneo di Pavia per studiare clinica medico-chirurgica. Tornato in Valle Sabbia, dagli ultimi anni del Settecento esercitò la professione medica. Nel 1800 venne chiamato a far parte della commissione per l'istituzione del liceo di Brescia e per diversi anni, fino al 1822, ebbe la direzione del ginnasio di Bagolino. Dal 1801 fu socio dell'ateneo di Brescia e di quello di Salò. Nel corso della Restaurazione sostenne con forza i vari piani di bonifica del Pian d'Oneda. Nel 1847 si dedicò a raccogliere documenti e testimonianze sulle rivolte popolari del 1797 e sull'età napoleonica nelle valli Sabbia e Trompia, dai quali trasse le Memorie Storiche della Provincia Bresciana e particolarmente della Valle Sabbia e Trompia dal 1796 al 1814, pubblicata dal tipografo Venturini.
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