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UNA GEREMIADE DEL LAGO D'IDRO
Pubblicato il 13 aprile 1874 su "La Provincia di Brescia" - Anonimo Di picciol bene in pria sente sapore; Quivi s'inganna, e dietro ad esso corre, Se guida o fren non torce il suo amore. (Dante - Purg.) Placido come la luna che vezzeggia nelle mie acque, limpido come la coscienza di una pastorella a quindici anni, talvolta mi irrito. M'irrito, non già perché lo zeffiro m'increspi l'onda, e il vento rabido me la spumeggi: m'irrito e conturbo per la nequizia dei tempi, e la perversità degli uomini. E poiché una serie di luttuosi esperimenti m'insegna che col mio millenario silenzio non mi sono procacciato che danno e scorno, ed ormai mi sono convinto che se ...il mondo è fatto a scale. Scende chi tace, e chi può ciarl sale ho deciso di far valere le mie ragioni fra queste colonne. Voi, dotti nelle cose antiche, di certo non meraviglierete che un lago prenda a discorrere sui casi propri, e ricorderete benissimo l'età felice in cui parlavano tutti e tre i regni della natura: così la parte eccelsa di un monte confabulava con un moscerino, e il passero cinguettava più di una moderna crestaja; il cardellino e l'elefante, il giglio ed il faggio, il granello d'arena ed il masso, tutti scioglievano armonicamente lo scilinguagnolo, era tutto un lieto chiacchierio, un comunicarsi le idee più disparate, un vagliarle - era insomma la civiltà che si andava fecondando. L'uomo c'impose silenzio, ma le opere de' suoi più potenti ingegni, de' suoi più rinomati filosofi, sono piene delle nostre glorie: i principali cardini, su cui poggia l'umanità, sono figli della nostra sapienza: Fedro, e la nobile schiera di coloro che raccolsero i nostri ragionari, informino. Ora io sono irato contro gli uomini, parziali ne' loro giudizi, codardi nelle loro opere. Udite. Tutti i miei confratelli d'Italia ebbero ed hanno cantori a bizzeffe, grandi e piccini. Cotesti due che mi ho ai fianchi, il Benaco, mio fratello maggiore, accolse lo sguardo poetico d'ingegni elevatissimi: da Catullo a Bonfadio, a Enea Bignami; il Sebino inspirò la prima pagina a Costanzo Ferrari, ed ora apprendo che un illustre suo figlio (Gabriele Rosa) sta adornandolo di un erudito lavoro. E sul Verbano e sul Lario e sul Ceresio chi non ha scritto versi di amorosa e devota ammirazione? E perché io solo, sol per l'ingratitudine degli uomini, dovrò rimanermene dimenticato? Son io forse il rifiuto degli dei? Fin che Cinzia si compiace di accarezzarmi, e Febo scherza nell'onda mia, e le ninfe mi danzano intorno, e sulle mie rive siede Flora e Pomona, e Bacco siede, e siede Cerere e Silvano, il favor dei numi io l'ho intero. E n'ho ben d'onde, chè più sopra tutti i miei fratelli io mi elevo ai cieli (1). Forse ch'io mi stia neghittoso ed in pro dell'uomo non operi?... Qui rincantucciato in breve spazio (2) costantemente l'opera mia fu ed è benefica a quest'uomo, sfruttatore della mia attività. Pensile, per me le acque vengono disciplinate, e col mio potente freno modero il corso del Clisi, e salvo le case e gli averi dalle inondazioni per le quali piangono ancora gli abitanti del Mella. Popolato, in me la trota guizza e guizza la tinca, che da me tolte allietano su dorati piatti le milanesi, le torinesi e le parigine mense (3). Generoso, quantunque già troppo piccolo, pur di giovare, acconsentii che il mio alveo fosse abbassato (4), portando così maggiore salute e maggiore terreno coltivabile all'uomo. Solitario, qui l'afflitto e rifuggente dai rumori mondani ombre amiche avrebbe, e dolce asilo, e pascolo all'anima derelitta. Mesto, qui due anime innamorate confonderebbonsi nella voluttuosa, dolcissima melanconia, onde s'informa e l'aria e il monte e l'onda - e nel mentre, in sul mattino, mirerebbero in me riflesso l'eccelso pino, scoterebbero dalla viola, dalla margarita, e da cento molli erbette Il rugiadoso umor che quasi gemma. I nascenti del sol raggi rifrange. E le canore armonie rese liete dal vario gorgheggiar dell'usignuolo, e soavissime dal melodioso canto del passero solitario che sulle mie creste annida, e il vago svolazzar della farfalla... Oh Ippolito Pindemonte, perché non t'ho io dato i natali? Di certo non graverebbe sugli uomini l'accusa d'ingratitudine ch'io denuncio solennemente a Giove. Né questi sono tutti i servigi da me prestati e prestabili. L'ospitalità mia è insigne, e l'ho fedelmente praticata in tutti i tempi - anche prima che i Romani l'avessero consacrata. La storia mi dà ragione. Il mio nome appare di origine greca, e però ho fatto buon viso ai Greci; qui vennero i Romani, i Goti, i Longobardi, i Franchi, gli Alemanni, e poi Francesi, e poi Tedeschi, e Svizzeri, e Spagnuoli; con tutti ho trattato bene, tutto il mondo ha fruito de' miei favori, e il mondo tutto non mi ricorda nemmeno, si che perfino le statistiche spesse volte mi dimenticano. Cosmopolita, come si vede, è il mio amore, e misi risponde con una indifferenza cosmopolita - peggio, coll'oblio. In quanto, poi, ai figli del bel cielo d'Italia, ho parole assai più gravi a dir loro. E prima a voi, governatori della mia patria. Ditemi, per voi, nulla vi ha di sacro oltre l'auri sacra fames? Ma il bene dell'intelletto non vi dice me, barbari inquieti, che rispetto e venerazione vuolsi, e non rapine, a chi ha reso alti servigi alla patria? E, fatto degno di eterno biasimo, s'è per voi consumato col mercanteggiare le due barche cannoniere per le quali Garibaldi ha potuto sostenere onorevolmente la giornata del 3 luglio 1866 (5). Ora a voi abitanti delle mie rive. Stolti! e perché si spietata guerra ai muti abitatori dell'acque mie? Oh perché freno di provvide, efficaci leggi non rattiene i cupidi dal gettarmi in seno sì devastatrici reti, onde è strage orribile di questa muta mia famiglia (6)? Stolti ancora! e non avete occhi per vedere che l'empia guerra se spopola me, dissecca a voi le fonti di un provento perenne? Ma ahi! che il fecondissimo genio distruttivo del secolo terribilmente insidia alla esistenza della mia popolazione, e già ne accenna l'esterminio. Voi, numi, non permetterete tanto scempio: ma voi, uomini di buona volontà, adoperatevi a scongiurarlo - fatto più nefando e barbaro non registrerebbero le storie della Sabina Valle. Pêra chi primo osò con mano improvvida e crudele, lanciare torpedini (7) sui letti delle salubri acque d'Italia! Torpedini? Torpitudini che offuscano lo splendore della civiltà, di cui tanto vi vantate apostoli! Ma dunque a voi i nomi di piscicoltura, di stabilimenti piscicoli ittiogenici, di industria peschereccia, sono affatto ignoti? - Che se per voi a me non è dato salire alla fama cui ho diritto, le lucubrazioni, gli esperimenti ed i trovati di Milne-Edwards, di Quatrefages, di Tommaso Harmer, di C.F. Lund, di Valenciennes, di Coste, del monaco Pinchon, di Bluck, di Jacobi, di Vogt, di Prevost, di F. De Filippi, di Spallanzani, di Mauro Rusconi, di Ercolani, di Carganico e di altri molti che con lungo studio e molto amore provarono che i nostri abitatori meritano di essere portati al livello degli animali utili, richiamando su di loro l'attenzione degli economisti - tutte queste dotte fatiche, vo' dire, valgano, se non a circondarli di amorose cure, almeno a rattenere nelle vostre mani i fulmini onde sono minacciati. - Come? nei tempi in cui F. De-Filippi (Nestore della piscicoltura italiana) fonda stabilimento piscicolo negli umili laghi di Avigliana, e Carganico risponde lodevolmente a Como; mentre C. F. Lund tenta di ripopolare i laghi della Svezia, e Valenciennes arricchisce la Francia dei più stimati pesci forestieri; mentre s'insegna di seminare i pesci come si semina il grano nella terra, l'Olanda, il Belgio, la Baviera, l'Inghilterra, la Svizzera, con nobile gara procedono nel confortarli delle cure più delicate, onde ne hanno molta lode e profitto assai, si dovrà tollerare siffatta vergogna sulle rive di un lago, dove la storia ne addita svegliatezza d'ingegno ed energia di volere, e dove la libertà (maestra e fomite d'illuminate industrie) s'ebbe pure i suoi martiri? (8). Breve. O voi, sposando il mio al vostro interesse, vi date cura di me, od io vi rinnovo due date, tali da farvi raccapricciare (9). Ma io non mi ho la lingua addestrata pel lungo silenzio, e già è stanca. Non vo' peraltro licenziarmi senza prima far cenno di un nuovo ed importante servizio ch'io potrò prestare alla mia provincia. Voi sapete che il Naviglio Grande trae le sue origini da me, e che io lo tengo costantemente nutrito. Sapete del pari ch'esso è il maggior canale irrigatorio della provincia, e che i campi ed i prati della parte orientale e meridionale di questa ne hanno grandissimo conforto allora appunto che sono sitibondi. Ma talvolta la siccità è persistente, i minori tributari del Clisi inaridiscono, ed allora è grande penuria di acqua irrigatoria. Per iscongiurare il ritorno di questa assai probabile eventualità, e ritornata attenuarne la gravità, si sarebbe pensato di ricorrere a me. Già da un anno e mezzo l'egregio vostro concittadino ing. Deretti Cesare, unitamente, credo, al collega sig. Bresciani, avrebbe volto lo studio a tale argomento. Si tratterebbe, in una parola, di far di me un serbatoio d'acqua per giovarsene quando che sia. Progetto ardito e che fa onore a chi lo ha avanzato. Se non che dopo un periodo abbastanza lungo d'incubazione, ci sarebbe nel desiderio di parecchi, e di me principalmente che sono preso di mira, di sapere come stanno le cose in questa bisogna. Però faccio invito al solerte sig. Deretti affinché veda modo di far conoscere il suo avviso in proposito. Purtroppo temo che ne venga detrimento a' miei abitatori muti (e forse ancora nocumento a quei loquaci), ma generosità non sarebbe, ove alla salute dei molti preferissi l'interesse dei pochi. Salus patri al suprema lex. Di casa, 4 aprile 1874. LAGO D'IDRO
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